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Dalla Francia al Venezuela

Francia

Una dopo l’altra, Francois Hollande ha visitato due SCOP icone delle lotte sociali, la Fabrique du Sud (ex Pilpa) e SCOP-TI (ex Fralib) celebrando “la storia di una lotta, una volontà , una speranza. ” Dopo la prima visita di Emmanuel Macron alla più grande SCOP industriale in Francia, l’Acome, non vi è dubbio che queste aziende sono diventate un fenomeno sociale che nessun esecutivo può più ignorare. Eppure molte lotte sociali – Goodyear Amiens, Docelles – portano dei progetti di SCOP e rimangono bloccate dal fallimento di una promessa elettorale, quella della Florange che avrebbe dovuto obbligare un gruppo che vuole chiudere un impianto a metterlo in vendita e a cederlo al miglior offerente … Allo stesso modo, al Congresso del Partito Socialista a Poitiers, Benoît Hamon ha spiegato che se la legge Macron fosse stata approvata, la ripresa in Scop della propria azienda da parte dei dipendenti, come hanno fatto fatto i lavoratori ex-Fralib, non sarebbe più possibile.

La progressione di SCOP è diventato inevitabile. La Confederazione Generale del SCOP ha indicato che nel 2014, l’occupazione nelle SCOP è passato da 45.700 dipendenti a 51.000, un 11,6% di aumento in un anno. Una spettacolare progressione da confrontare con il continuo aumento della disoccupazione nel paese. Un modello economico che, se ben lungi dall’essere perfetto, è tuttavia avanzato rispetto alla passività dei salari, l’opacità e l’avidità delle corporazioni. Quindi la domanda è: bisogna solo guardarli con un occhio amichevole o considerarli, oltre ad una forma di resistenza per l’economia neo-liberista dominata dalle multinazionali , il supporto per l’invenzione di altre possibili?

La questione è ben lungi dall’essere un problema franco-francese. Sarà centrale nel quinto incontro “L’economia dei lavoratori” organizzato a Punto Fijo in Venezuela dal 22 al 26 a luglio 2015. Questi incontri internazionali promossi dalle imprese recuperate argentine e dal programma Facultad Abierta presso l’Università di Buenos Aires hanno lo scopo di unire tutte le iniziative recuperate dai lavoratori in tutto il mondo. Iil fenomeno del recupero delle imprese è sempre più diffuso. Oltre a molti delegati dell’America Latina, Nord America, Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa parteciperanno. Per l’Europa, saranno presenti i rappresentanti spagnoli, italiani e greci. Per la Francia, SCOP-TI e la Fabrique du Sud, le due aziende visitate da François Hollande, vi si recheranno. Perché per loro come per le altre imprese recuperate, l’esperienza non è un avventura imprenditoriale come tante altre, ma piuttosto l’espressione di un desiderio di ottenere un’economia guidata unicamente da una rivalutazione del capitale.

Fonte: Association Autogestion

8 maggio 1945-8 maggio 2015: la lotta antirazzista è la lotta contro il fascismo, l’antisemitismo e il colonialismo

L’8 maggio ’45 corrisponde alla disfatta della Germania nazista, un grande sollievo per i gruppi che sono stati perseguitati. Per le minoranze nazionali ebree e rom questa sconfitta mette fine al genocidio perpetrata dai nazisti e permette la sopravvivenza di un grande numero di deportat* grazie alla liberazione dei campi di concentramento e di sterminio. Questa vittoria contro il fascismo è decisiva, anche se come disse Berthold Brecht, “il ventre che ha generato la bestia immonda è ancora fecondo” e che la grande borghesia e i collaboratori che avevano sostenuto i movimenti fascisti riuscirono in gran parte a cavarsela.

Ma l’8 maggio ’45 è anche l’inizio di un terribile massacro in Algeria perpetrato dal potere coloniale francese nelle vicinanze di Sétif, Guelma e Kherrat. L’accaduto inizia con l’uccisione, da parte della polizia, di Bouzid Saal, giovane scout che, durante una manifestazione che reclamava l’indipendenza, la libertà e la fine del regime coloniale, il tutto celebrando la sconfitta del nazismo, stava portando una bandiera algerina. Le sommosse scatenate dall’uccisione diventarono il pretesto di una repressione sanguinosa da parte dell’armata francese appoggiata da milizie di coloni, repressione che fece più di dodici migliaia di morti ( 45000 secondo i/le militanti algerin* e il consolato americano dell’epoca).

Questo massacro fu l’espressione di un sistema razzista che restò intatto nella sfera coloniale e che solo le lotte anticoloniali avrebbero rimesso in dubbio. Dalla parte dello stato francese e dalla maggioranza dei partiti politici francesi, la sconfitta del nazismo non pose fine allo statu quo razzista nelle colonie. Fino al Partito Comunista, i/le ribelli algerini furono considerati provocatori/trici hitleriani. Lato algerino, la vittoria contro il nazismo significò la fine del colonialismo.

Fonte: Paris-luttes.info

Marcia contro Monsanto

Il prossimo 23 maggio si terrà in 50 Paesi la terza MAM – March against Monsanto.

Alla MAM, Marcia Globale contro Monsanto, si prevede una vasta partecipazione e l’intenzione della manifestazione è di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di bandire gli OGM assieme a una crescente pressione politica in materia di agricoltura e sulle pratiche commerciali aziendali di Monsanto e per lottare per l’etichettatura degli alimenti che contengono OGM. La manifestazione globale coinvolge 38 nazioni di 6 continenti con la partecipazione di 428 città per una soluzione pacifica.

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Gli OGM secondo molti scienziati, sono sospettati dai causare danni alla salute umana, come sterilità, reazioni immunitarie, allergie e aumento dei rischi di cancro, tanto che in 828 hanno firmato una lettera aperta, inviata ai capi di Stato di tutto il mondo in cui sono espresse una serie di preoccupazioni circa l’uso degli organismi geneticamente modificati per l’alimentazione umana.

Ma perché l’obiettivo è la Monsanto? E’ la multinazionale più potente nel settore biotech e ha sotto brevetto migliaia di semi, tra cui gli OGM e tanti prodotti per l’agricoltura tra cui l’erbicida Roundup a base di glifosato recentemente indicato dallo IARC, l’Agenzia per la lotta al cancro dell’OMS – Organizzazione Mondiale della sanità- come probabile cancerogeno.

L’Europa ha approvato recentemente 10 nuovi OGM e confermati 9, seppur lasciando ai singoli Stati membri la possibilità dio autorizzarli sul proprio territorio. Ma si tratterebbe di una finta possibilità poiché sarà complicato impugnare la questione nei tribunali.

Spiega Daniel Romano di Gateway Green Alliance:

Monsanto sta mandando in rovina gli agricoltori, causando sterilità del terreno per le monocolture, la perdita della biodiversità e il collasso degli alveari. Inoltre, le loro pratiche costituiscono una vera minaccia per l’agricoltura biologica e la perdita di piante autoctone. Sta causando dipendenza verso un sistema alimentare centralizzato. Insomma, è la ricetta per la carestia globale.

Gli OGM sono stati rimossi e banditi da Austria, Bulgaria, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Giappone, Lussemburgo, Madeira, Nuova Zelanda, Perù, Sud America, Russia, Francia e Svizzera.

Conclude Barbara Chicherio di Gateway Green Alliance

Monsanto non vuole che i consumatori sappiano cosa mangiano e sta continuando a combattere in modo aggressivo l’etichettatura degli OGM negli alimenti.Attualmente un ex lobbista della Monsanto è uno dei rappresentanti impegnati nella redazione del più grande accordo commerciale internazionale, il TPP (Trans Pacific Partnership) dove è prevista la non etichettatura degli alimenti OGM.

Fonte: Blogeko

Francia – Il potere di sorvegliare chiunque

Lunedì 4 maggio a Parigi vi è stata una manifestazione contro il
progetto di legge sull’intelligence.

Il 5 maggio 2015 l’Assemblea nazionale francese ha approvato il disegno
di legge relativo l’intelligence nonostante la forte opposizione che si
è mobilitata contro le disposizioni contenute nel testo. Con 438 voti a
favore, 42 astensioni e 86 contrari, i rappresentanti hanno concesso al
Primo Ministro il potere di sorvegliare massicciamente e senza controllo
la popolazione francese.
Il progetto di legge sull’intelligence, presentato in procedura
d’urgenza il 19 marzo scorso dal Primo ministro Manuel Valls, ha
sollevato una forte opposizione da parte di numerose associazioni di
difesa della libertà, di collettivi, di sindacati dei magistrati e di
avvocati.
I punti più discussi della legge sono:
– legalizzazione delle pratiche illegali dei servizi d’intelligence, che
permetterà un’ampia e intrusiva sorveglianza della vita privata dei
cittadini, affiancata alla conservazione a lunga durata dei dati acquisiti.
– estensione dei campi d’azione di intelligence interna ed esterna, con
obiettivi vasti e pericolosi per la democrazia.
– disposizioni che permetteranno l’acquisizione dei dati dei cittadini
su Internet in modo da permettere la selezione tramite algoritmo dei
comportamenti “sospetti”.
– messa in campo di un regime di “sorveglianza internazionale” per le
comunicazioni verso e dai paesi stranieri.
– creazione di una commissione di controllo con il solo potere
consultivo sulle domande di intercettazioni, le quali rimarranno in mano
al potere politico (del Primo ministro).

Il progetto di legge permetterà di sorvegliare tutti coloro che potranno
“attentare” alla pace pubblica grazie a delle scatole nere che dovranno
essere impiegati sulla rete dai vari intermediari, telco e compagnie
internet, per filtrare il traffico individuando, attraverso i metadati,
attività sospette quali visitare siti pro-terrorismo o contattare
persone sotto indagine.

Egitto: In nome della Shariʿah si colpisce il diritto allo sciopero

L’Alta Corte Amministrativa egiziana ha decretato che lo sciopero dei funzionari sul posto di lavoro può essere sanzionata con una pensione anticipata o con il divieto ad una promozione “conformemente alla Shariʿah islamica”. Una sentenza che ha dato vita ad una viva polemica.

La decisione dell’Alta Corte Amministrativa è stata contestata dall’Unione dei sindacati dei lavoratori egiziani che vi vedono un attentato a un diritto costituzionale. L’articolo 15 della Costituzione adottata tramite Referendum nel 2014 precisa infatti che “lo sciopero pacifico è un diritto regolamentato per legge”.

Ma l’Alta Corte ha considerato che lo sciopero dei funzionari è una minaccia agli interessi della comunità e che conformemente alla Shariʿah islamica questo è un crimine. La Corte si è basata sull’articolo 2 della Costituzione stessa, la quale stabilisce che “i principi della Shariʿah sono la fonte principale delle leggi”.

Secondo gli esperti, non si può fare ricorso alla sentenza dell’Alta Corte salvo che davanti la Corte costituzionale. Nel frattempo, migliaia di funzionari e di operai, perseguiti a livello amministrativo per avere aderito alla sciopero, potranno essere immediatamente colpiti. Una situazione che potrà provocare un’esplosione di rabbia dei lavoratori secondo i gli ambienti sindacali.

Fonte: Afriques en lutte

In Tunisia, la precarietà è in aumento e le pratiche della dittatura continuano

La situazione occupazionale non progredisce molto in Tunisia e questo è dimostrato dal movimento iniziato Sabato 28 febbraio da 8 laureati disoccupati a Gabes, città portuale del Sud Est del paese. Questi hanno infatti iniziato uno sciopero della fame presso la sede della sezione della Lega tunisina dei diritti dell’uomo (LTDH) nella regione al fine di rivendicare, per alcuni di loro, la loro integrazione nella pubblica istruzione e il servizio pubblico, e in generale una vita dignitosa. Secondo i dati delle strutture regionali per l’occupazione, il tasso di disoccupazione nel governatorato di Gabes sarebbe 38%, con 23.000 laureati, dato che può essere considerato reale, viste le polemiche regolari sulle cifre. Così come lo sviluppo regionale, (mancanza di infrastrutture, come in altre aree interne), i problemi ambientali ricorrenti della regione, in particolare l’inquinamento da impianti chimici, sono altre ragioni per il conflitto. Diverse mobilitazioni di sostegno, tra cui l’appello dell’Unione dei laureati disoccupati (UDC) si sono già tenute, Sabato 14 marzo in tutto il governatorato (provincia) di Gabes, e a Sousse; Lunedì 16 marzo in quello di Sidi Bouzid e Tunisi. Anche 23 laureati disoccupati, ex membri dell’Unione generale degli studenti tunisini (UGET), hanno iniziato, Lunedì 23 marzo, uno sciopero della fame ai locali dei giovani lavoratori del UGTT di Tunisi. Gli scioperanti sono parte di un gruppo di 186 manifestanti, tutti ex membri della UGET, che ha cominciato da sei giorni un sit-in negli stessi locali. I manifestanti continueranno la loro protesta fino a quando saranno soddisfatte le loro richieste e la loro situazione regolarizzata come deciso nel contratto firmato nel dicembre 2014 con il precedente governo. Questo prevedeva la loro integrazione nel servizio pubblico dopo aver esaminato i loro fascicoli. Ssdz2-56577ono tutti disoccupati da anni, da quando sono stati esclusi dal concorso per il servizio pubblico a causa delle loro attività sindacali e politici sotto il regime deposto di Ben Ali. Il nuovo governo di Habib Essid ha chiesto loro di dargli un mese dal 27 febbraio 2015 per rivedere i loro fascicoli, ma loro non vogliono aspettare fino ad allora. Lunedì 23 Marzo 2015, la mobilitazione dei disoccupati non si è fermata solo a Tunisi, poiché una manifestazione della UDC (Unione dei laureati disoccupati) ha avuto luogo a Sidi Bou Zid. In molte città, come ad esempio Sousse, Gabes, Gafsa, manifestazioni si sono svolte su iniziativa dell’UDC; in alcuni casi si sono riscontrate violente repressioni, come a Gafsa a febbraio, quando sono stati ricoverati diversi manifestanti. Tra le richieste del UDC, a parte la soppressione delle liste nere di Ben Ali, il sindacato rivendica la presenza di rappresentanti dei disoccupati nelle assemblee locali e regionali. La mobilitazione prosegue il 26 marzo 2015, e crescerà ancora nella regione di Sidi Bouzid, soprattutto dal momento che il Ministro della Pubblica Istruzione ha annunciato che ogni disoccupato dovrà pagare 15 dinari per l’iscrizione ai concorsi del CAPES! A Gabes gli scioperanti hanno rifiutato la proposta del Ministero di terminare il loro sciopero in cambio di 150 dinari ciascuno. Senza farsi raggirare, hanno deciso di avviare uno sciopero selvaggio della fame (senza acqua)!

[ Testo del gruppo Africa della Segreteria Internazionale della CNT-F ]

Maghreb – La vicenda Touareg

Da oggi nasce una nuova categoria: Maghreb. Cercheremo di riportare le lotte che si svolgono quotidianamente nei territori del Maghreb, territori che ogni giorno vedono tribù locali che si battono per la propria libertà, indipendenza ed autonomia dagli stati di quest’area. Volgeremo i nostri sguardi prevalentemente sui territori del Marocco, dell’Algeria e della Tunisia.

 

LA VICENDA TOUAREG

In questi giorni numerose proteste si stanno svolgendo nell’area del sud dell’Algeri e del Nord del Mali. Martedì 10 marzo 2015 circa 6000 persone sono scese nelle strade di Kidal, in Mali, per rifiutare gli accordi tra l’Azawad, territorio del Mali, e il Mali e dimostrare la loro voglia di libertà e di indipendenza sia dal quest’ultimo che dall’Algeria.
Tra il 12 e il 14 marzo in una Conferenza straordinaria, il Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA) rende pubblica la Risoluzione generale di questa Conferenza. Più di 4000 persone venute da tutta l’Azawad hanno preso parte all’incontro. Durante i tre giorni, la parola è stata data all’insieme dei rappresentanti delle tribù, dei villaggi, delle differenti categorie sociali, dei diversi movimenti , alle donne, ai giovani perchè si esprimessero riguardo l’accordo di pace tra Mali e l’Azawad. Ciò che è uscito dalla Conferenza è il rifiuto verso un accordo considerato umiliante in quanto non vengono considerate le rivendicazioni fondamentali di una popolazione la cui aspirazione principale è l’indipendenza e la libertà del proprio paese.

Vediamo in breve le tappe storiche che precedono questo eventi:
Tre accordi di pace, un patto nazionale, numerose conferenze e convenzioni, sono stati firmati dal governo del Mali con i fronti armati dei touareg e dei loro alleati sin dal 1991. Prima di questa data vi fu la repressione della rivolta dell’Adagh nel 1963, con il massacro di migliaia di civili per mano dell’armata maliana nel silenzio più totale delle istituzioni. Questo atto violento comportò l’esilio di numerose famiglie touareg negli stati confinanti. Nessuna istituzione nazionale o internazionale ha intrapreso qualche negoziato o condannato questi fatti che restano tuttora impuniti.
Quando scoppiò la ribellione touareg del 1990 in Nigeria e in Mali, la Francia e l’Algeria si mobilitarono velocemente per prendere il controllo della situazione fino al termine delle ostilità, con gli Accordi di Tamanrasset del 6 gennaio 1991, seguiti dal Patto Nazionale l’anno successivo. L’obiettivo era di ridimensionare i movimenti iniziali, il Front de libération du peuple touareg e il Mouvement de libération touarègue, all’interno dei confini di ciascun Stato: il termine ” touareg ” fu sostituito da “Azawad” per il Mali e “Air et Azawagh” per la Nigeria.
Le misure annunciate ( sviluppo economico, creazione di infrastrutture, sicurezza e ritorno dei rifugiati) non sono mai state attuate.
Nel 1994 si ebbero genocidi causati dalle milizie che decimarono la popolazione obbligandola ancora all’esilio.
Una nuova insurrezione avvenne nel maggio 2006 ( e nel 2007 in Nigeria). I movimenti che si stavano mobilitando nella lotta politica del Mali, furono accusati di etnicismo e di terrorismo. Si arrivò a nuovi accordi, gli “Accordi di Algeri” del 2006, con i quali furono reiterate le promesse precedentemente non mantenute.

Nel 2011, il Mouvement National de Libération de l’Azawad, di cui fanno parte numerose identità tra cui touareg e arabi, chiede al governo maliano di applicare gli Accordi di Algeri del 2006. Poichè le richieste non vennero ascoltate, il MNLA passa all’azione a gennaio 2012 formando un’armata composta da combattenti touareg venuti dalla Libia; questo soldati facevano parte di quelle famiglie andate in esilio durante gli anni di piombo del Mali. Dopo appena due mesi dalla formazione del MNLA, naque il fronte islamista Ansar Eddine condotto dall’ex ribelle touareg , poi ex funzionario e diplomatico maliano, Iyad ag Ghali, il quale si allea con i gruppi salafiti AQMI e MUJAO perchè eliminare il MNLA. In poco tempo il governo di Bamako, capitale del Mali, viene rovesciato da un colpo militare. La comunità internazionale si mobilita per ristabilire l’ordine costituzionale facendo ripartire un potere maliano impotente di fronte all’avanzate degli islamisti ( pretesto perchè l’intervento militare francese nel gennaio 2013) e organizza le elezioni presidenziali. L’Accordo di Ouagadougou viene firmato a giugno 2013 sotto il controllo della CEDEAO, dell’ONU e dell’UE, ma le promesse contenute anche questa volta non vengono considerate dal governo maliano.
Negli Accordi di Algeri 2015 viene incoraggiata l’estrazione mineraria senza che venga specificata la compensazione la distruzione delle risorse vegetali e acquifere dei luoghi necessari all’economia pastorale, dimostrando ancora una volta il non interesse verso le popolazioni locali in virtù di una ricchezza non condivisa con loro.